Strage succube e violenta, un remoto che sapeva di viva realtà. Il compianto giudice aveva preannunciato la fine tempo prima.
Alcuni fotogrammi nella vita rendono i fatti indelebili. La strage di via D’Amelio fa parte di questa categoria. Una spietata esecuzione di stampo cosa nostra. Una fine tragica per il giudice Paolo Borsellino che seguiva da poco la scomparsa allo stesso modo di Falcone.
I due “eroi” che hanno dato caccia spietata ai rappresentanti della cosca più sanguinaria dell’Italia. Giovanni e Paolo erano parte integrante di un team che voleva far emergere la verità. Hanno pagato il duro scotto di essersi accorto di strane interferenze a discapito della Legge.
Entrambi avevano famiglie e entrambi avevano grande timore per le loro vite familiari. Sapevano benissimo che la strada che avevano intrapreso sarebbe stato a vicolo cieco. Una strada di solo andata per l’eternità. Le loro scoperte avevano dato volti ai negazionisti della giustizia.
Strage cieca e inverosimile. Una rabbia protesa verso chi voleva amministrare la giustizia
Paolo Borsellino aveva avuto una carriera di prim’ordine. Una nomea di uomo responsabile e molto rigoroso. L’amico Giovanni Falcone confluiva con i suoi dilemmi contro cosa nostra e la criminalità organizzata nella bellissima Sicilia. La giustizia prevaleva sulla paura.
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Riuscivano a leggersi nel pensiero tanto erano affiatati. Il fatto divenne ancora più sinergico quando trassero alcune conclusioni. Erano capitati su una pista che li stava portando a far emergere delle verità cocenti. Lo sconcerto iniziale diede vita ad una presa di posizione.
Sapevano troppo, erano arrivati vicino alla verità. Alle 17 del pomeriggio di trent’anno fa, una 126 carica di tritolo esplose in via D’Amelio. Una strage inimmaginabile che colpì il cuore della Sicilia. Trovarono la morte il giudice Borsellino e 5 agenti del corpo della sua squadra.
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Paolo periva in un agguato criminale. La fatidica agenda rossa da cui non si separava mai sparì improvvisamente. Lì erano annotate tutte le sue scoperte. Era a conoscenza dei piani delle cosche, dei loro spostamenti, dei prossimi sventurati che sarebbero stati messi a morte. Aveva nota di tutto.
Sapeva che in cima alla lista figurava il suo nome. Dopo la tragica fine dell’amico Giovanni a Capaci ripeteva spesso: “Ora tocca a me”.